Le critiche al Progetto MOI

Nelle cronache cittadine, le manifestazioni di scontento dei primi giorni di dicembre nei confronti dell’operato dell’équipe di management da parte degli abitanti dell’ex Moi sono state ricondotte agli interessi materiali di pochi di loro, che sarebbero interessati probabilmente a protrarre le proprie attività illecite [come friggere pollo e patatine o tagliare i capelli?] presenti all’interno del Moi. “La Stampa” ha addirittura parlato di «racket dei posti letto e molto altro», che sarebbe gestita da un paio di individui, che non si capisce come mai non vengano arrestati se sono loro i capi a volto scoperto della protesta. 

Il Comitato non approva certo la violenza fisica, ma sottolinea il clima di tensione che si è aggravato nelle ultime settimane. Molto abitanti sono estremamente preoccupati del proprio futuro e di quello dei propri figli, e non stupisce se soprattutto coloro che per molte ragioni sono più instabili psichicamente possano compiere azioni violente, che offrono appigli per maldisporre ulteriormente la cittadinanza verso gli abitanti del Moi nel loro complesso. 

Ma è disonesto interpretare la vicenda come lo scontro tra i bravi “mediatori”, come recentemente vengono chiamati dalla stampa cittadina, e i cattivi e ingrati occupanti che in tutto vogliono ostacolare il lavoro di chi vuole dare loro un futuro migliore. L’ufficio aperto all’ex Moi del Progetto MOI non è il posto di lavoro di volenterosi “mediatori”. È l’ufficio di un gruppo manageriale con a capo un Project Manager incaricato di sgombrare le palazzine occupate, anche se poi si preferisce usare il verbo “liberare” e per gli occupanti si vuole riservare e si ripete come un mantra l’“inclusione sociale”. 

Paventiamo che la protesta verbale o fisica verrà presa a pretesto per sospendere il Progetto MOI, e che ad essa, alla protesta, verrà attribuita la responsabilità del fallimento del progetto, mentre nessuno si è preoccupato di analizzare le criticità insite nell’impostazione stessa del Progetto MOI, che porta in sé gli estremi del fallimento. 

Le ragioni della protesta si possono trovare in quei documenti interni che illustrano cosa si stia veramente facendo per affrontare la vicenda dell’ex Moi, che riguarda la nostra città e a cui guarda l’intero Paese. Noi come Comitato abbiamo letto quei documenti e molto altro, e il 12 dicembre abbiamo consegnato un documento critico a tutti i rappresentanti istituzionali e a quelli di altri enti e associazioni coinvolti nel Gruppo di partecipazione, che doveva essere sede di un confronto che non c’è mai stato. 

Abbiamo chiesto che il nostro testo, dal titolo «Sintesi proposta progettuale del “Progetto MOI Migranti un’Opportunità d’Inclusione”: un’analisi critica del Comitato di solidarietà rifugiati e migranti»,  venga discusso seriamente nella prossima riunione del Gruppo di partecipazione e dai rappresentanti delle istituzioni.

Chi fosse interessato a leggere questo documento lo può richiedere a: comitatosolidarietarifugiati@gmail.com 

 

Sugli arresti all’exMOI

In merito agli arresti per stupro riportati sul quotidiano La Stampa del 11.06.15.
Prima di tutto ci uniamo al dolore della ragazza e della famiglia. Ci teniamo a ribadire che, se il fatto fosse confermato, sarebbe un atto di assoluta gravità. Un atto che condanniamo e riteniamo ingiustificabile, a prescindere dal colore della pelle di chi lo ha commesso o del quartiere dove vive.
Gli abitanti del MOI non hanno ostacolato lo svolgimento delle indagini, ma anzi sono stati i ragazzi stessi a spiegare che, nel caso fossero confermate le accuse, chi ha fatto questo non è come tutti gli altri. Al MOI ci sono famiglie, studenti, persone che lavorano o cercano lavoro.
Alcuni giornali e politici hanno permesso che crescesse il clima di odio razzista ignorando chi ha lucrato sui progetti di accoglienza. L’esempio lampante sono le aggressioni ai rifugiati di Tor Sapienza, frutto delle politiche di Mafia Capitale.
Perciò invitiamo a non generalizzare, a non promuovere atti di violenza indiscriminata. Non devono ripetersi i fatti del 2011 alla Continassa. All’epoca la notizia di uno stupro, poi rivelatasi falsa, portò ad una fiaccolata in cui si diede fuoco a tutto il campo rom. Sappiamo che è già stata organizzata una fiaccolata contro i rifugiati. Nessun episodio può essere il pretesto per qualunque atto di razzismo, non ultimo uno sgombero indiscriminato, che non darebbe giustizia alla ragazza ma sarebbe solo un atto di giustizia sommaria, per di più verso le persone sbagliate.

30 giorni per decidere – Riflessioni sull’exMOI a rischio sgombero

riccaLunedì 2 Marzo il consiglio comunale ha votato una proposta di mozione della Lega Nord che chiede di deliberare riguardo tempi e modi della “liberazione” delle palazzine exMOI entro 30 giorni. (Foto a destra – Click per ingrandire) La proposta è arrivata nel mezzo della concitata discussione sulle arcate, il sito dell’ex mercato, situate a poche decine di metri dalle palazzine occupate, saltuariamente sede di Paratissima e futura sede di un polo scientifico-tecnologico di Politecnico e Università. La stessa tecnica era stata adottata dal centro-destra per far approvare il sopralluogo alle palazzine. Mentre si deliberava sugli investimenti nelle arcate, il centro-destra ha infilato una mozione riguardate le case occupate. Non stupisce la proposta dalla Lega, ne che Fratelli d’Italia e Nuovo Centro Destra diano manforte. Ma perché il PD ha compattamente votato a favore? Quasi sicuramente questa mozione non sarà vincolante, nessuno deciderà in 30 giorni cosa fare di 800 rifugiati e si rimanderà ancora. La mozione è tanto inutile da non comparire quasi sui giornali. Piuttosto è indicativa di una linea di pensiero, una linea che connette il decoro con l’emergenza. La stessa linea lungimirante che porta a spendere 5 milioni di euro per sgomberare centinaia di Rom, per dar casa solo a poche decine di loro. Lo stesso avviene ora: dopo aver ignorato la situazione per due anni il comune decide di applicare la legge in maniera discrezionale, funzionale alla situazione. Alcuni esempi. Quando serve il piano casa di Renzi viene attivato e a Roma centinaia di rifugiati che occupano Palazzo Selam, perdono la residenza. A Torino questo non succede poiché da anni si lotta per il diritto alla residenza, un diritto che il comune ha riconosciuto. Per l’exTelecom occupata di Bologna, dove abitano 200 persone, non è stato subito disposto il sequestro, poiché questo non pone un reale vincolo per gli occupanti, nessuno abbandona l’edificio. Piuttosto la volontà politica, a sgombero effettuato, può essere certificata dal sequestro giudiziario. A Torino succede il contrario, l’atto della procura viene usato dal comune come scusa per sgomberare. E’ evidente l’uso della legge a supporto della propaganda trasversale che vede nei problemi sociali semplici questioni di ordine pubblico. Il modello è sempre lo stesso. All’inizio in un quartiere nasce lo scontento creato da cause esterne. Arriva la movida rumorosa, frutto della politica della Torino Universitaria, arrivano lo spaccio-furto-accattonaggio, frutto di politiche sul lavoro fallimentari, arriva una nuova occupazione, frutto della mancanza di politiche su reddito e abitazione, arrivano i rifugiati, per via di conflitti, accordi internazionali e carenza d’integrazione. Sul nuovo fenomeno si scaricano tutti i problemi del quartiere. La destra in questo senso è funzionale al sistema di riqualificazione. Promuove, a fini elettorali, manifestazioni populiste o apertamente razziste che focalizzano l’attenzione sulle paure momentanee. Infine il comune targato PD interviene per calmare “i cittadini scontenti” che gridano al degrado, concede di tutto a chi può investire nel quartiere e sposta il disagio un po più in la, magari verso le periferie. E il gioco riparte. Il comune ha convinto Università e Politecnico a insediarsi in quartiere con il polo di ricerca all’exMOI e presto nell’area exAVIO con la città della salute. Questo giustifica le mozioni che impegnano la Giunta ad attivarsi per l’esecuzione dello sgombero. Nel testo della mozione i rifugiati diventano definitivamente i portatori del degrado. Quello che è detto in toni chiaramente razzisti nei valori e nelle pratiche, da Lega Nord e Fratelli d’Italia, deve essere giustificato dall’investimento economico per poter essere firmato dal PD: non si può mettere un polo di eccellenza a fianco alla più grande occupazione auto-organizzata d’Europa, non per razzismo ma per logiche economiche. L’amministrazione tollera le altre case occupate di rifugiati, luoghi messi peggio del MOI e dove non c’è il nucleo di auto-organizzazione politica che li sta nascendo. Via Bologna, corso Chieri, corso peschiera sono tutte case di passaggio. Luoghi funzionali al mercato dell’immigrato, ultima tappa dell’ingranaggio che mastica il rifugiato fino all’ultimo centesimo. Per questo sono comode e intoccabili. Una volta digerite queste riflessioni, la presenza del MOI diventa simbolica non del degrado ma delle carenze sistematiche: le difficoltà nel rinnovo del permesso e nel riconoscimento della residenza, l’obbligo di lavorare dove non c’è lavoro, la difficoltà di avere un contratto legale, la costante ricerca di lavoro nero, magari nei campi dove si aspettano mesi per lavorare giorni, l’impossibilità di andare in altri paesi d’europa o di tornare nel proprio. Le occupazioni come il MOI servono a riacquistare una stabilità, dare respiro e poter ripartire da qualcosa come la casa per poi riaffermarsi come lavoratori, cittadini, studenti e tanto altro. Le occupazioni sono la spia di allarme di carenze sistematiche, la cui soluzione non è uno sgombero, ma precise scelte politiche. Contestare la legge perversa e ideologica che regola la vita dei migranti e la logica del “ripristino della legalità”, queste sono le reali soluzioni.

Aggiornamento sulle notizie di sgombero

Le buone notizie di questo inverno, raccolte in un articolo su Vie di Fuga, sono state sovrastate dalla notifica di sgombero.
La notizia dell’autorizzazione a sgomberare l’exMOI ha colto molti di sorpresa. Ma dopo i titoloni sui giornali l’amministrazione torinese sta ancora cercando di capire cosa fare.
Quasi sicuramente verrà efettuata una proposta, un accordo come soluzione pacifica.
Oltre questo non è ancora arrivata nessuna notizia ufficiale. Quando arriverà la metteremo al vaglio dell’assemblea degli abitanti, che sono stati informati porta a porta consegnando loro gli articoli a riguardo.
Tutti hanno alle spalle esperienze di progetti e molti hanno vissuto o visto altre occupazioni abitative a Torino o altrove, con questa esperienza valuteranno le proposte dell’amministrazione, ma sicuramente non con occhio ingenuo.
Uno sgombero assistito, ovvero la schedatura e la volontaria uscita dall’occupazione a fronte di un’accoglienza temporanea, non sono sicuramente ben accetti.
Presto ci mobiliteremo per far vedere al comune che gli occupanti del MOI sono uniti e decisi.

Intanto la vita nelle palazzine continua. Alcuni giornalisti hanno voluto portare alcuni esempi di chi vive al MOI. Sono state raccontate la storia di Blessing e la sua famiglia, quella di Hermes e Hasanay e le opinioni di Demba riguardo lo sgombero. Vi invitiamo a leggere e condividere la viva voce degli abitanti. Altri articoli usciranno presto.

Le riflessioni del comitato le potete invece trovare su alcuni interviste a Radio Blackout e Radio Onda d’Urto.

Anche le attività del comitato di solidarietà sono andate avanti.
Le assemblee settimanali di gestione procedono.
Abbiamo incontrato gli studenti del liceo Cattaneo del Regina Margherita e del d’Azeglio. Presto incontreremo anche quelli dell’Umberto I.
Dall’idea di alcuni studenti è appena nato un gruppo Facebook di scambio di oggetti che vi invitiamo a usare. Abbiamo fatto una cena benefit per l’orto dell’exMOI
Stiamo organizzando altri eventi e incontri, li trovate tutti in QUESTO POST(clicca).

Nel villaggio olimpico occupato, dove 750 rifugiati aspettano lo sgombero

19 gennaio 2015

TORINO – Sono le sette di venerdì sera quando Asanaine ci fa strada verso l’appartamento che da due anni condivide con altri quattro inquilini, al 191 di via Giordano Bruno, a Torino. Salendo le scale – illuminate solo da qualche riflesso lunare, oltre che dai led dei cellulari usati a mo’ di torcia – il freddo continua a condensare ogni respiro in nuvolette di vapore denso, che si fanno appena più lievi quando la porta di casa si chiude alle nostre spalle. Chi vuol stare al caldo, qui, deve procurarsi una stufa; ma i più stoici, come Asanaine, continuano a farne a meno anche in serate come questa, quando la temperatura si avvia bruscamente a calare sotto lo zero. “Ci sono abituato – spiega laconico – ho dormito all’aperto per settimane, primate di arrivare qui”.  “Quiè il complesso residenziale che, per via del Mercato ortofrutticolo che un tempo sorgeva sull’area, è conosciuto col nome di “ex-Moi”: un gruppo di palazzine alla periferia sud della città, che per anni sono rimaste inutilizzate dopo aver ospitato gli atleti delle Olimpiadi del 2006. Nel marzo del 2013, la struttura è stata occupata da centinaia di profughi arrivati dall’area metropolitana e da tutta la provincia di Torino. Settecentocinquanta persone di 26 nazionalità nelle palazzine occupate. Stando ai dati diffusi dal Comitato di solidarietà ai rifugiati, all’ex Moi vivono attualmente più di 750 persone di 26 diverse nazionalità: arrivati in Italia in seguito al crollo del regime libico o con le precedenti ondate migratorie dall’Africa, quasi tutti si sono ritrovati allo sbando allo scadere dei rispettivi progetti d’accoglienza. Questo ciclo, che ha inesorabilmente continuato a ripetersi anche dopo l’allargamento dei posti Sprar, ha fatto sì che nuovi migranti continuassero a bussare alle porte della struttura per tutto il periodo dell’occupazione: anche se quasi nessuno in città lo dice apertamente, da due anni l’ex-Moi è parte di un fragile equilibrio, che ha finora evitato che centinaia di profughi si riversassero, da un giorno all’altro, nelle strade di Torino. Per questo, la scorsa settimana, anche la giunta comunale è stata colta di sorpresa quando il Tribunale ha disposto il sequestro della struttura, raccomandando alla questura di mettere celermente a punto di un piano di sicurezza per arginare eventuali contestazioni al momento dello sgombero. Il timore è che possa scoppiare una rivolta come quella che a novembre incendiava la periferia romana di Tor Sapienza: ma sulle quattro palazzine stasera regna una calma irreale, che sa di attesa dell’inevitabile.

La storia di Asanaine, ex militare di carriera, fuggito dalla dittatura eritrea. “Tre giorni fa – spiega Asanaine – erano tutti nel panico. Qui dentro vivono famiglie con bambini piccoli, che in strada finirebbero per morire. Per quanto mi riguarda, se ci cacciano non potrò far altro che andarmene: ma io posso permettermi il lusso di pensare per me, perché mia moglie e i miei figli sono rimasti a casa”. Trent’anni, eritreo, pettinatura afro sulla stessa corporatura esile di molti dei suoi connazionali, con quegli occhi laconici Asanaine ha visto più cose nell’ultimo decennio di quante molti europei possano osservarne in una vita.  “A casa ero un militare di carriera, – ricorda – ma a un certo punto ho iniziato a sentirmi a disagio con quello che facevo. In Eritrea c’è una dittatura soffocante, che continua a negare al popolo il pane e i diritti civili. Io non volevo esserne più complice. La prima volta che mi hanno incarcerato era il 2005: si trattava di una piccola insubordinazione, e mi hanno lasciato uscire presto. Qualche tempo dopo, però, ho disertato, e quella volta in prigione ci sono rimasto per oltre un anno. Una volta uscito, nel 2010, era chiaro che il regime mi aveva bollato come nemico dello stato. A quel punto, scappare era diventata l’unica opzione”.

La storia di Hermes, prossimo alla laurea in Ingegneria delle telecomunicazioni. Nel perimetro delle quattro palazzine, sembra quasi ricostruita la geografia delle aree di crisi che continuano a sputar fuori dissidenti e cittadini scomodi lungo il corridoio del Mediterraneo. “Lì dentro vengono quasi tutti dal Corno d’Africa” spiega Hermes, ragazzone etiope sulla trentina, mentre indica la facciata dell’edificio di Asanaine. “Nel mio palazzo, invece, molti vengono dal Mali, dal Niger, dalla Nigeria e dal resto dell’Africa occidentale”. In Etiopia, Hermes era un attivista del Kinijit, partito d’opposizione bollato dal governo come organizzazione terroristica dopo le elezioni del 2005. “I nostri leader sono stati incarcerati con l’accusa di voler rovesciare il governo” ricorda. “Io e miei amici – continua – in prigione ci siamo rimasti per una settimana. Appena rilasciati siamo fuggiti in Sudan; ma il loro governo si era accordato con il nostro, e così ci hanno rispediti indietro. Tornati a casa, la polizia ha scovato, torturato e ucciso molti dei miei amici. Io allora sono scappato di nuovo, a Tripoli: ci sono rimasto un paio d’anni, senza documenti e col lavoro che scarseggiava. Poi mi sono imbarcato per Lampedusa”. Una volta in Italia, Hermes viene trasferito in un programma d’accoglienza a Parma: “Ho fatto corsi da tornatore, da fresatore, da magazziniere. Avrò preso cinque attestati senza mai trovare un lavoro. Allora sono venuto a Torino, per studiare Ingegneria delle telecomunicazioni con una borsa di studio”. Peccato però che, dopo appena un anno, Hermes sia finito tra gli 8 mila studenti che, pur essendo dichiarati “idonei”, non hanno più ricevuto alloggio né sovvenzioni in seguito al taglio delle borse di studio disposto dalla ex Giunta Cota. “È stato allora – continua – che sono finito a vivere in strada. Ho dormito sotto i ponti, in stazione, sulle panchine dei parchi. Sono stato in un’altra occupazione, ma dopo qualche mese ci hanno sgomberato. E alla fine un amico mi ha portato qui: per la prima volta dal 2006 ho dormito per due anni di seguito sotto lo stesso tetto. E ti dico una cosa: io da qui non me ne andrò facilmente. Non ne posso più di fuggire, mi manca un anno alla laurea e non voglio tornare in strada. Che mi portino via con la forza”.

L’accusa di spaccio di droga nelle palazzine occupate. Pur con tutte le difficoltà del caso, per due anni l’ex-Moi ha restituito una parvenza di stabilità ai suoi 800 occupanti. Dopo qualche attrito iniziale, rifugiati e residenti del quartiere hanno raggiunto una convivenza pacifica, più volte testimoniata anche dal presidente di circoscrizione, Giorgio Rizzuto (Pd). Finché, tra novembre e dicembre scorsi, mentre sugli schermi tv ancora rimbalzavano le immagini della rivolta di Tor Sapienza, i gruppi consiliari di Lega e Fratelli d’Italia hanno preso a rimpallarsi una serie di iniziative per denunciare il degrado che l’occupazione avrebbe portato nella zona. La mattina del 24 novembre, dopo un primo presidio guidato da Maurizio Marrone (FdI), il capogruppo del Carroccio torinese, Fabrizio Ricca, segnalava sul suo profilo Facebook che “all’ex Moi si spaccia, e ne abbiamo le prove”. La prova sarebbe contenuta in un video che Ricca afferma di aver girato di fronte alle palazzine: volti e località sono oggettivamente irriconoscibili; tutto ciò che si può distinguere è la voce del consigliere mentre si accorda per comprare qualche grammo di marijuana da alcune persone con accento presumibilmente africano. Sull’onda delle accuse di Ricca, nei weekend del 13 e del 20 dicembre, Fratelli d’Italia e Lega hanno indetto altre due manifestazioni, la seconda delle quali guidata dal neosegretario leghista Matteo Salvini, che in piazza Galimberti ha denunciato “lo spaccio, il degrado, la probabile presenza di clandestini e la complicità dell’amministrazione di sinistra con profughi e centri sociali”. Sostanzialmente disertate degli abitanti della zona, le manifestazioni hanno creato nel quartiere un clima di tensione che stava appena iniziando a scemare, quando il Tribunale di Torino ha diffuso la notizia del sequestro. 

Nessun futuro per i profughi. “Io non so se qui dentro qualcuno spacci” ammette Asanaine. “Per quanto riguarda i miei conoscenti, sono sicuro che loro non lo fanno. Ma non è una cosa su cui troverei molto da ridire, in fondo. Siamo onesti, in Italia per noi non c’è futuro: dal momento stesso in cui arrivi, non fanno altro che sbatterti in faccia dei limiti, finché ad arrivare al limite non sei tu stesso. La prima cosa che fanno, dopo averti preso le impronte digitali, è farti firmare un foglio che dice che dall’Italia non potrai più muoverti. Ti tengono qualche mese in una struttura e ti fanno fare decine di corsi, ma in un modo o nell’altro ti fanno capire che per te non ci sarà lavoro. Poi, un bel giorno, ti consegnano i documenti e ti fanno firmare un altro foglio, dove c’è scritto che, da quel momento, qualsiasi cosa ti capiterà saranno affari tuoi. Dopodiché, sei da solo. Devi arrangiarti”. “A volte – conclude – ci ho pensato anch’io a mettermi in contatto con la criminalità organizzata. A febbraio del 2013 , quando dormivo sulle panchine del Parco del Valentino, ci pensavo tutti i giorni. Ma, ripeto, io qui non ho una famiglia e posso ancora prendermi il lusso di rispondere alla mia coscienza. Non ho scelto di nascere in Eritrea, ma so anche che non è colpa di nessuno; quindi non ho mai preteso che mi dessero un lavoro stabile, qui. L’unica cosa che pretendo è il rispetto, la considerazione che si deve a ogni essere umano: e se ora ci sbattono di nuovo in strada, allora vuol dire che al vostro governo non frega niente di noi. Che quello che chiamano ‘protezione umanitaria’ si riduce a una serie di documenti da firmare. E che in fondo non serve a nulla. (ams)

© Copyright Redattore Socialeex moiex moi 1

Sullo sgombero, un po’ di chiarezza

La procura di Torino chiede di sgomberarli, come se si trattasse di immondizia. Invece si sta parlando di 750 persone, il 15 per cento donne e una trentina di bambini. Molti dei rifugiati sono scappati dalla guerra in Libia e sono finiti in strada a marzo 2013, esauriti i fondi dell’Emergenza Nord-Africa. Questi esseri umani, provenienti da 26 paesi africani, hanno trovato rifugio nelle quattro Palazzine dell’ex Villaggio Olimpico, abbandonate da 7 anni. Il comune non era riuscito a farle fruttare perché costruite male, ma con soldi pubblici. La procura non ha mai indagato su impianti, struttura o ditte appaltatrici.

Sappiamo che questa indagine e sequestro non significano sgombero imminente, un giudice autorizza lo sgombero ma sta alla politica decidere i tempi. Lo sgombero eseguito con la forza significa scontrarsi con i rifugiati e il comitato, con coloro che difendono il diritto a un tetto per tutti. Effettuare lo sgombero con la forza vuol dire che la politica non può dare alternative: tutti fuori e basta. Intanto i giornali creano la solita confusione: lo sgombero non avverrà domani. Crediamo che sia poco fattibile ributtare centinaia di persone in strada. L’unica altra modalità con cui la politica tratta i rifugiati sono i progetti. Uno sgombero assistito tuttavia costa caro, comporta offrire un’alternativa agli occupanti. Inoltre la storia delle occupazioni torinesi di rifugiati insegna che gli sgomberi assistiti finiscono male. Pensiamo a Corso Peschiera, dove alla fine di innumerevoli tavoli molti sono finiti in strada.
Nessuna delle due è una buona prospettiva.

Nelle palazzine olimpiche molti hanno cominciato ad avere una vita stabile: un posto dove tornare dopo il lavoro nelle campagne di Saluzzo o Rosarno, piccole borse lavoro, una famiglia e un comitato di solidali pronti ad aiutarli. Qui molti per la prima volta hanno imparato l’italiano, insegnato da volontari in collaborazione con i CTP (Braccini e C. di Mirafiori).

FdI, Lega e FI non aspettavano altro che la parola sgombero su un giornale, vogliono vedere in questa occupazione solo illegalità e degrado, vogliono incastrare il comune. Troviamo ridicolo attaccarsi alle poche liti avvenute in quasi due anni.
La realtà è che nessuno dei cittadini si sente minacciato, prova è che ogni iniziativa antidegrado è stata un flop. Molti sono i cittadini che collaborano con gli abitanti e gli stessi rifugiati sono in grado di autoregolarsi. Non regna il caos, i rappresentanti (1 o 2 per appartamento) si incontrano regolarmente per affrontare problemi comuni e per confrontarsi con il comitato di solidarietà che offre supporto medico, linguistico e legale. Si è instaurato un dialogo con la circoscrizione, unica istituzione che ha rotto il silenzio e che è in contatto con alcuni dei rappresentanti. La collaborazione con AMIAT ha permesso di rimuovere le barriere, sistemare il cortile e ripulire l’area.

Durante questo percorso di quasi due anni si è creata una rete di collaborazione e supporto con alcune realtà del territorio: CSOA Askatasuna, CSOA Gabrio, Pastorale Migranti, Ingegneri senza Frontiere, Microclinica Fatih, Frantz Fanon, Mamre, Gruppo Abele, Sermig, Anpi sez. Lingotto. Tutti solidali con l’occupazione, unica reale soluzione per i rifugiati a Torino, una volta finiti i progetti.
Ricordiamo infatti che in una nota del 23 maggio l’UNHCR scriveva che “sono migliaia i rifugiati costretti a vivere in palazzi abbandonati e occupati nelle principali città italiane quali Roma, Milano, Torino, a causa dell’inadeguatezza dell’accoglienza e dell’insufficienza dei progetti di integrazione”. A Torino sono oltre il migliaio in 8 diversi palazzi.

Lo stato italiano ha scelto di perseguire chi dovrebbe proteggere, preferendo tutelare il diritto alla proprietà piuttosto che i diritti umani.

In questi giorni ci confronteremo con gli abitanti, determinati e uniti nel difendere il diritto alla casa di tutti e tutte.

Infine alcune precisazioni per chi fosse venuto solo ora in contatto con l’exMOI:

  • Gli abitanti sono rifugiati con vari permessi di soggiorno. Non clandestini terroristi. Faticano ogni giorno per rinnovare il permesso, che costa loro tra i 100 e i 250 euro ogni rinnovo. Per molti il rinnovo è annuale, a molti infatti è stato categoricamente dato il permesso umanitario senza realmente analizzare la loro domanda di asilo.
  • Il nostro comitato è costituito da studenti, lavoratori e precari italiani e immigrati. Siamo vicini ai centri sociali Askatasuna e Gabrio in quanto uniche realtà che si occupano concretamente di supportare rifugiati e migranti. Questi sono gli unici che hanno creduto nella lotta per la residenza e che portano avanti battaglie in cui crediamo.
  • Le 4 palazzine occupate sono state vuote per anni e non avevano nessuna destinazione d’uso, men che meno essere date agli italiani, per questo sono state al Fondo città di Torino. Questo paga acqua e luce, non i contribuenti.
  • Le liti avvenute erano sempre a sfondo personale, nessuna aveva motivazione etnica o religiosa. Molti appartamenti sono infatti condivisi tra nazionalità e religioni diverse.

Precisazioni sul progetto alle Salette occupata

In questi giorni abbiamo divulgato la notizia del progetto per l’occupazione della Salette. Consigliamo la lettura dell’articolo di redattore sociale, al momento uno dei più accurati per inquadrare la faccenda. Lo trovate QUI.

Ricordiamo che l’occupazione di via madonna delle salette 12/a è stata promossa dal nostro comitato e dai centri sociali Askatasuna e Gabrio nell’ambito della settimana di mobilitazione per il diritto alla casa a gennaio 2014. All’epoca avevamo scritto un volantino, un passaggio dice:

Abbiamo deciso, assieme a famiglie italiane e immigrate colpite dalla crisi, di costruire una settimana di mobilitazione per ridare dignità e casa a tutti e tutte, riappropriandoci di edifici abbandonati come quello in via Delle Salette. Un edificio vuoto appartenente ai missionari Salettiani, che da oggi riprende vita.

I nuovi occupanti erano per la maggior parte abitanti dell’exMOI, molti di loro vivevano nelle cantine o in stanze troppo affollate. In pochi mesi abbiamo migliorato l’impianto elettrico e riattivato quello idraulico, creato un orto in giardino, aperto una ciclofficina e uno sportello settimanale per aiutare altri migranti. Gli occupanti si sono autoregolati e hanno come organo un’assemblea settimanale. Ogni decisione è stata presa consultandola.

Nel frattempo il dialogo con la proprietà è andato avanti. Innanzi tutto per la necessità pratica di avere la luce: 10kw sono pochi per 70 persone e l’elettricità salta spesso. Essere in buoni rapporti è importante. Poi perché, dopo un primo momento di scontro, la stessa proprietà ci è venuta incontro proponendoci di fare un progetto insieme. Lo stupore di avere un interlocutore così disponibile e la possibilità di creare qualcosa di più strutturale ha fatto si che il dialogo andasse avanti. Da subito abbiamo posto delle condizioni al progetto, che sono state ripetute all’incontro ma ignorate dalla stampa. Il progetto:

  1. Non deve avere finalità di lucro. Nessuno deve guadagnarci.
  2. Deve includere tutti gli occupanti. Nessuno viene sbattuto fuori.
  3. I lavori di ristrutturazione devono mirare a rendere il costi di gestione minori possibile. Si paga il meno possibile.
  4. I lavori di ristrutturazione vanno effettuati senza che nessuno debba dormire fuori. Nessuno esce.
  5. I lavori di ristrutturazione devono essere effettuati in modo di includere il più possibile la manodopera degli abitanti secondo principi di autorecupero. Chi ci vive ci lavora.
  6. I tempi di permanenza devono essere secondo i livello di lingua e il livello di reddito, non secondo tempistiche prestabilite. Nessuna accoglienza a tempo determinato.
  7. Deve prevedere attività di inserimento lavorativo e/o un’attività che generi reddito per coprire il più possibile i costi di gestione. Nessuno esce perché non ha i soldi per restare.
  8. La gestione deve essere condivisa con gli abitanti, rispettando le decisioni prese dall’assemblea. Questo deve rispecchiarsi nella costituzione formale e nella permanenza di spazi comuni dedicati. L’assemblea va rispettata.
  9. Tutti i precedenti punti e le decisioni che porteranno ad attuarli sono da porre al vaglio dell’assemblea degli occupanti che sono liberi di modificarli a piacimento. Decidono gli abitanti.

Il progetto è quindi non precostituito ma in fieri, viene scritto da chi ci vive tenendo conto delle precedenti esperienze. Le maggiori paure non sono quelle di avere un interlocutore disonesto, ma che nessun progetto possa mai essere tanto ben fatto da risolvere i problemi strutturali della realtà dei migranti in italia. Primo ostacolo tra tutti è la solvibilità economica: come chiedere soldi a un soggetto che viene derubato ogni giorno. Conosciamo bene le realtà di precarietà lavorativa (Saluzzo, Foggia, Rosarno…) e il costo del rinnovo del permesso di soggiorno (tranquillamente oltre i 100 euro). Sappiamo bene inoltre che l’apertura delle frontiere e la chiusura dei CIE sono la reale soluzione per chi è prigioniero nel nostro paese.

Detto ciò queste condizioni sono, secondo noi l’occasione per mostrare la buona via ai progetti per rifugiati. Inoltre sono un rimedio al lato meramente “assistenziale” del nostro lavoro politico, poichè se realmente esiste una possibilità di autogestione da parte dei migranti questa non ha ancora una forma istituzionale. Da 2 anni ormai il nostro comitato rincorre le emergenze e supporta centinaia di rifugiati. Le occupazioni sono da sempre una delle migliori soluzioni per i rifugiati, ma quando manca un soggetto che li supporti queste cadono nel dimenticatoio. Se in futuro mancherà qualcosa di simile al nostro comitato potrebbero venire a mancare questi percorsi di autogestione.

Dato che chi ci ha incontrato ha mostrato rispetto per le nostre proposte, per la nostra attività e le nostre decisioni, abbiamo deciso di provare questa strada. Ciò non comporta assolutamente l’abbandono del percorso politico con i rifugiati che si rende ancora più vitale, data la nostra presenza all’exMOI.

Infine, alcune precisazioni rispetto a ciò che potete aver letto su articoli di vari giornali.
Nessuno di noi ha mai dato un nome al progetto, sicuramente non “Trasformare l’inopportuno in opportunità”.
Caritas è il finanziatore, ma né il comitato né gli occupanti hanno mai incontrato un suo rappresentante. L’unico rappresentate della proprietà che abbiamo incontrato è il prete, padre stanislao. L’interlocutore principale è sempre stata l’Unione Pastorale Migranti con cui non sono mai state prese decisioni senza informare l’assemblea degli abitanti.

Istituzioni a passeggio – II

Una passeggiata per l’exMOI, questo è stato il sopralluogo di oggi. Rifugiati e comitato avevano chiuso le porte in faccia ai consiglieri della destra che si erano presentati un mese fà. Oggi alle 13 si sono presentati invece per una visita istituzionale tutti i componenti della commissione, accompagnati da alcuni rappresentati della circoscrizione e dai giornalisti. Digos e polizia si sono tenuti a distanza.
Notevole la presenza di Carbonero, Ricca, D’amico e Ambrogio che si sono distinti per essersi incatenati in sala rossa durante la votazione della residenza ai rifugiati e per l’adesione al corteo di Fratelli d’Italia proprio contro i rifugiati che oggi hanno incontrato.

Accolti da tre rappresentati dei rifugiati sono stati invitati a fare un giro per mostrare lo stato delle palazzine e il frutto della pulizia durata una settimana. Hanno potuto passeggiare per il cortile, girare intorno ai palazzi e chiedere informazioni riguardo le condizioni di vita degli abitanti e lo stato delle utenze. In particolare si è discusso delle dei pannelli solari non funzionanti, del riscaldamento assente sostituito con stufe elettriche, che non costituiscono un rischio per gli abitanti (in due anni non si è verificato nessun incidente rilevante), delle perdite d’acqua che bagnano il cartongesso creando muffe e dei problemi strutturali (fondamenta, pareti in cartongesso, intonaco scadente). Si sono anche informati del numero di stanze e di famiglie, ma nessuna proposta concreta è stata fatta.
Gli è stata mostrata la sala comune, ma come richiesto dagli occupanti non sono stati fatti entrare negli appartamenti.

Vi invitiamo a leggere il comunicato pubblicato prima del sopralluogo.


Ansa – Ex Moi,sopralluogo Commissione Controllo

Soluzioni reali

Chiariamo i fatti. La scorsa settimana la destra cercava un precedente per creare la Tor Sapienza torinese.
La commissione di gestione, incaricata di controllare lo stato delle proprietà pubbliche, voleva effettuare un sopralluogo all’exMOI. Il moi è proprietà pubblica al 36%. Ciò che si contestava era il mancato preavviso del sopralluogo e soprattutto la vicinanza coi fatti di Roma. Impensabile che siano ignorate la presenza e le condizioni di vita degli abitanti per quasi due anni, per presentarsi solo ora.
Non siamo contrari a un confronto con le istituzioni, anzi; tant’è che l’abbiamo costantemente richiesto per quasi due anni. Ciò che contestiamo è la modalità di agire di alcuni rappresentanti delle istituzioni, che trasformano questa disponibilità in provocazioni contro i rifugiati.
Ora si manifesta chiaramente il vero intento di Lega e Fratelli d’Italia, usare qualunque pretesto per ricacciare i rifugiati in strada, anche filmandosi mentre propongono di comprare marijuana. Invece di capire come vivono queste persone e cosa può aiutarli a vivere meglio, preferiscono subdolamente incitarli all’illegalità.

Nell’era dove la marijuana è legale nella maggior parte degli stati americani, in buona parte dei paesi sud americani e in alcuni paesi dell’europa, ci fà molto sorridere lo scoop del consigliere Ricca della Lega Nord. Nell’era della povertà, dove in italia contribuisce anche il suo partito, forse dovremmo adeguarci ad altri paesi del mondo, che chiedono e ottengono l’uso della marijuana ad uso terapeutico e ad uso personale, così da combattere il narcotraffico e lo spaccio.
Vorremmo solo ricordare che la banca padana qualche hanno fece perdere 13 milioni di euro ai correntisti padani. Che la stesso partito della Lega Nord è stata affondato dagli scandali finanziari. Se i rifugiati o gli italiani sono costretti a vendere sostenze stupefacenti per poter vivere la colpa la cerchiamo nelle istituzioni, incapace di prendersi delle responsabilità sociali. La stessa lega che ha sempre finanziato, nell’era berlusconi, le guerre in africa e in medio oriente e poi chiede di respingere i rifugiati che cercano di scappare.

Gli abitanti da due anni, oltre ad aiutarsi reciprocamente ed autogestirsi, si sono organizzati per controllare che le regole comuni fossero rispettate. Infatti hanno individuato chi vendeva droga nelle palazzine, provvedendo ad allontanarli. Il comitato e gli abitanti contrastano quotidianamente queste attività. Chi spaccia non è il benvenuto, pur facendolo per assenza di reddito. Ma il vero problema è un altro.

Il vero problema è ignorare le motivazioni per cui una persona, italiana o straniera, è costretta ad atti illegali per vivere. Il vero problema è fomentare la guerra tra poveri, ignorando i problemi reali della società. Offrire un lavoro onesto o lasciare le persone libere di cercare lavoro altrove, queste sono reali risposte a ciò che la destra chiama degrado.

Il comitato è sempre presente, aiuta a migliorare concretamente le condizioni di vita fornendo supporto medico, legale e linguistico. Ogni lunedì insieme agli occupanti è presente per dialogare con gli abitanti del quartiere. Presto sarà montato un gazebo per avere un presidio permanente. Queste sono le nostre soluzioni.

La situazione a Saluzzo

Come comitato facciamo parte del coordinamento bracciantile saluzzese dalla sua nascita. Supportiamo e solidarizziamo con tutte le iniziative promosse. Vi invitiamo a leggere il loro blog, seguirli corteosu Facebook e soprattutto partecipare attivamente alle loro iniziative, come la prossima rassegna stampa. Un forte abbraccio ai compagni che stanno subento una pesante persecuzione da parte della polizia, per il solo motivo di solidarizzare con migranti.

Un piccolo report di quello che abbiamo visto.

A Saluzzo quest’anno è stato messo a disposizione un campo gestito dalla Caritas. All’interno ci sono tende, una cucina all’aperto e un container con docce e bagni (condizioni migliori rispetto all’anno precente); non esiste uno spazio comune al chiuso, anche per pregare i ragazzi hanno procurato dei tappeti e li hanno sistemati in uno spazio all’aperto tra le cucine e i bagni. Bisogna sottolineare che il campo è stato adibito per ospitare 200 persone ma quest’estate sono passati da Saluzzo circa 400/500 rifugiati e/o migranti. Molti non avendo il posto in tenda dormivano fuori, cosa presente ancora tutt’oggi.

Tutti i viventi nel campo si svegliano prima dell’alba e muniti di biciclettecasa percorrono dai 20 ai 50 km per raggiungere i campi di lavoro e per cercare nuovo lavoro; alcuni lo trovano, altri lavorano a chiamata (pochi giorni o poche settimane) e poi fermi anche per un mese, ovviamente tutti continuano a girare i campi in bici ma, molto spesso senza ritrovare altro lavoro. La paga, che per legge dovrebbe essere tra i 6 e i 9 euro l’ora, è di circa 5 euro. Alcuni lavoratori chiedono ancora meno, per rendersi più appetibili agli occhi dei datori di lavoro.

Dentro il campo c’è una grande unione e solidarietà tra i ragazzi, chi lavora compra il cibo e tutti mangiano, ci sono momenti in cui si guarda la televisione, altri in cui si svolgono giochi da tavola, si prega e ci si riunisce per confrontarsi sulle condizioni di vita e di lavoro. Ultimamente a Saluzzo il freddo gelido ha raggiunto le tende del campo così sono iniziati i problemi di salute e di invivibilità. Molti ragazzi si lamentano delle condizioni estremamente dure e indegne a cui sono costretti: dal freddo all’ umidità, dagli spazi ristretti alle poche cure mediche (ci è giunta voce che ai medici locali sia stato proibito di dare loro cure, poichè se ne dovrebbe occupare la Caritas). Così la maggior parte di loro sono affetti da sindromi influenzali, tonsilliti, bronchiti spesso recidivanti. Se poi tutto ciò viene unito al lavoro pesante che dura circa 10 ore al giorno ecco che non si contano più dolori articolari, lombalgie, tendiniti.

Considerata questa situazione circa una settimana fa, i ragazzi insieme al Coordinamento bracciantile, hanno iniziato a parlare di un tema molto importante: la casa. Un luogo chiuso e caldo dove poter vivere per continuare a lavorare, dato che le tende della Caritas sgombereranno il campo a fine ottobre non considerando che il lavoro nei campi continuerà fino a dicembre. In risposta a questa situazione, domenica 12 ottobre, i ragazzi si sono riuniti e dopo aver scritto due striscioni, uno in italiano e uno in francese: “noi vogliamo una casa per tutti”, hanno dato inizio ad un corteo spontaneo richiedendo la presenza del Sindaco. Dopo aver bloccato la viabilità per alcune ore, il Sindaco ha dato un appuntamento ai ragazzi per lunedì 13 in comune. Una delegazione di ragazzi accompagnati da una mediatrice, sono andati a presentare il problema, richiedendo al sindaco una soluzione. La risposta di quest’ultimo è stata: “non ho una soluzione, pagatevi un affitto”. Nessuna risposta politica all’orizzonte. L’atteggiamento fortemente negativo ha incontrato la piena e disgustosa simpatia dei leghisti saluzzesi.